Positivo al doping ma innocente. E’ una bufera quella che si agita attorno a Jannik Sinner, il primo tennista italiano a diventare numero 1 al mondo, messo sotto processo per un doppio test che ha riscontrato tracce (seppur minime) di uno steroide anabolizzante e però scagionato dall’Agenzia antidoping del tennis per “contaminazione involontaria”.
La sentenza è arrivata il 15 agosto, tre settimane dopo la rinuncia a Parigi 2024 per una “tonsillite”.
“Ora mi lascerò alle spalle questo periodo difficile e profondamente sfortunato”, le parole dell’azzurro, che ha reso noto tutta la vicenda, in contemporanea con l’Itia, cinque giorni dopo l’assoluzione e forse non a caso dopo aver superato lo scoglio del torneo americano, nel quale ha dovuto affrontare ancora difficoltà fisiche.
Lo staff legale di Sinner si dice convinto che la vicenda sia chiusa – “non c’è alcun dubbio che Sinner sia innocente, l’Itia non ha messo in dubbio questo principio chiave -, ma l’ultima parola spetterà alla Wada. La stessa, pesante incognita lo ha d’altra parte accompagnato per tutta l’estate, tra la vittoria di Miami, l’approdo al n.1 del ranking, i problemi fisici e le rinunce a Roma prima e ai Giochi poi, dove un’eventuale sentenza di condanna avrebbe avuto un effetto devastante.
Tutto è cominciato quando gli sono state comunicate le due positività: la prima in un test del 10 marzo a Indian Wells, la seconda otto giorni dopo lontano dalle gare. Entrambe per Costebol, meno di un miliardesimo di grammo.
Sinner, spiega l’Itia, è stato sospeso in via cautelare tutte e due le volte ma ha potuto poi giocare facendo appello a un tribunale indipendente, mossa che ha automaticamente fermato la misura cautelare. E’ cosi’ cominciata una lunga inchiesta, con numerose ‘interviste’ al tennista (molto “collaborativo”, secondo tutte le parti) e al suo staff.
Poi il 15 agosto la decisione di un tribunale indipendente: Sinner “innocente”, la sua era stata una “contaminazione involontaria”.